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(Vi.Lo.) – Esattamente cento anni fa (3 Gennaio 1920) nasceva, Renato Carosone, il rivoluzionario, l’Americano di Napoli, uno dei più grandi ed originali artisti della canzone italiana, un riferimento della musica e dello spettacolo ancora studiato ed eletto a riferimento. E’ stato il primo (e forse unico) papà di contaminazioni e “matrimoni” tra diversi generi nati rigorosamente sotto l’ombra del Vesuvio. America, Oriente, jazz e vernacolo si incontravano nel pianoforte di Carosone. I suoi classici, da Torero a Caravan Petrol, da Tu vuò fa l’americano a Pianofortissimo, da Maruzzella a Pijate ‘na pasticca testimoniano una modernità stilistica e una vocazione all’intrattenimento in qualche modo uniche. Carosone ebbe la fortuna di un padre che amava la musica e lo spinse a studiare, fino al diploma, su uno scassatissimo pianoforte francese. Poi una scrittura con una compagnia di varietà lo portò a Massaua, Addis Abeba, Asmara. La scalata al successo cominciò nel ‘49 quando formò un trio con Van Wood e l’esuberante batterista Gegè di Giacomo. Le sue canzoni sono state tradotte in tutto il mondo e fatto parte di decine di colonne sonore cinematografiche. Sedici album pubblicati e i suoi brani che hanno varcato i confini più impensabili. Gli anni ’50 sono stati indubbiamente il decennio di maggior successo e popolarità per Carosone e la sua scatenata band: Nel 1955 scrisse un pezzo originale intitolato Mò vene Natale e andò addirittura a ripescare un classico napoletano del 1888, firmato da Salvatore Di Giacomo, ‘E spingole frangese. A questi due, affiancò alla fine dello stesso anno Io, mammeta e tu, esilarante brano di Pazzaglia e Modugno, che Carosone lasciò alla voce e alla verve comica di Gegè Di Giacomo. Nello stesso periodo, Carosone portò al successo il brano Giuvanne cu’ ‘a chitarra, lanciato da Amedeo Pariante e trasposizione napoletana della canzone Johnny Guitar, dall’omonimo film di Nicholas Ray.

Nel 1956, a Milano, Carosone incontrò casualmente il paroliere Nisa, al secolo Nicola Salerno, durante un concorso radiofonico indetto dalla Ricordi. Nisa e Carosone erano stati iscritti insieme al concorso da Mariano Rapetti, direttore artistico della Ricordi e padre di Giulio (futuro Mogol), per dare alla luce tre canzoni. Nisa presentò a Carosone i testi da musicare, uno dei quali si intitolava Tu vuò fà l’americano. Il pezzo ispirò subito Carosone, il quale combinò musica swing e jazz al pianoforte, realizzando un boogie-woogie in un solo quarto d’ora. Nacque così la canzone più famosa di Carosone, che divenne poi un successo planetario. Da quel primo incontro nacquero altri due ottimi brani: ‘O suspiro e Buonanotte. Fu l’inizio di una felice e prolifica collaborazione. Nel 1957 nacque Torero, il maggiore successo di Nisa e Carosone. La canzone, rimasta per due settimane al primo posto della hit parade statunitense, fu arrangiata in trentadue incisioni americane e tradotta in dodici lingue. Il nuovo repertorio carosoniano, insieme a Chella llà (successone del 1956 di Marino Marini) e a Il pericolo numero uno (hit sanremese di Gino Latilla e Claudio Villa in duetto), andò a formare il Carosello Carosone nº 5, 33 giri edito proprio nel 1957. Altri due gioielli del repertorio carosoniano, sempre con l’apporto del solito insostituibile Nisa furono ‘O sarracino e Caravan petrol. Accanto a questi, il sestetto incise Atene, ‘O mafiuso, Giacca rossa (‘e russetto), Tre guagliune e ‘nu mandolino (tutti firmati Nisa-Carosone) e anche A-Tisket, A-Tasket, un successo di Ella Fitzgerald.

Clamoroso il suo ritiro dalle scene nel 1959, un gesto che ancora oggi trova poche repliche in merito: al culmine del successo, Renato Carosone dette il suo addio al pubblico. L’annuncio avvenne durante la trasmissione televisiva Serata di gala, presentata da Emma Danieli. Per gli italiani fu uno shock: non era comprensibile come un musicista al massimo della fama avesse potuto abbandonare tutto senza spiegazioni. Alcuni settimanali scandalistici dell’epoca motivarono quella decisione persino con un voto di Carosone alla Madonna, ipotesi che non si poteva scartare a priori, risaputo il profondo senso religioso che albergava nell’animo del maestro napoletano. Ritornò in scena nel 1975 per un giro di concerti di spessore internazionale e fece in tempo anche a ritagliarsi una presenza al Festival di Sanremo nel 1989 con “Una canzuncella doce doce” scritta dall’amico Claudio Mattone che non ebbe il successo sperato.

Morì il 20 maggio 2001 nella sua casa di Roma dopo aver combattuto con diversi e gravi problemi di salute. Ai suoi funerali a Piazza del Popolo, quasi cinquemila persone. A cento anni dalla nascita, il 2020 vedrà tante iniziative per ricordarlo: un show su RaiUno realizzato da Renzo Arbore, il meglio della sua discografia raccolta in una collezione che sarà lanciata da “Tv Sorrisi e Canzoni” e in primavera il ritorno dello spettacolo teatrale, “Carosone, l’Americano di Napoli”, scritto da Federico Vacalebre, con la regia di Nello Mascia e con Andrea Sannino nei panni di Renato (dal 20 marzo al Teatro Augusteo, poi al Trianon Viviani). Tra i progetti anche una eventuale fiction targata Rai.

Vincenzo Lombardi