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Duecentoottantadue container di balle di rifiuti italiani arrivati a Sousse, città a 170 km a sud-est da Tunisi, sono al centro di uno scandalo politico in Tunisia. Dall’altro lato del Mediterraneo, la vicenda ha portato prima alle dimissioni e poi all’arresto dell’ex ministro dell’ambiente, Mustapha Laroui, il 21 dicembre 2020. Appena due mesi prima, il 2 novembre, il governo tunisino annunciava l’apertura di un’inchiesta giudiziaria per traffico di rifiuti, ancora in corso.

Sulla lista degli indagati non appare solo il nome dell’ex ministro dell’ambiente, ma anche quello del suo capo di gabinetto, dei direttori dell’Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti (ANGED) e di quella per la Protezione dell’ambiente (ANPI). Oltre a tre funzionari della dogana, il responsabile di un laboratorio di analisi e un impiegato delle poste, risulta essere indagato anche Beya Ben Abdelbaki, console tunisino a Napoli. Per il giudice di Sousse incaricato del dossier, Tarek Saied, sono tutti accusati di aver favorito l’arrivo di 7.900 tonnellate di rifiuti non riciclabili sul suolo tunisino.

I 282 container, partiti dal porto di Salerno tra il 22 maggio e il 20 luglio 2020, contengono tonnellate di rifiuti classificati come 191212, un codice che per il catalogo europeo corrisponde alla dicitura «rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti urbani». Per la ditta che li ha prodotti, la Sviluppo Risorse Ambientali di Polla, piccolo comune di 5mila abitanti in provincia di Salerno, si tratta di rifiuti derivati dalla lavorazione industriale dell’immondizia differenziata. Sono stati inviati in Tunisia, sostiene l’azienda, per un secondo trattamento di valorizzazione in nome della «maggior economicità del processo di recupero rispetto al paese d’origine», si legge sulle carte che accompagnano le spedizioni, ottenute da IrpiMedia.

Per il rappresentante del Ministero dell’Ambiente tunisino Abderrazak Marzouki, invece, nei depositi non arriva materiale riciclabile ma solo «scarti di rifiuti urbani e misti, impossibili da valorizzare» e quindi destinati allo smaltimento in discarica o all’incenerimento, come spiega lui stesso sulla base delle analisi condotte dal tribunale di Sousse in un’email inviata il 15 dicembre 2020 alla Regione Campania e a Sergio Cristofanelli, funzionario del Ministero dell’Ambiente italiano.

Secondo il regolamento europeo sui rifiuti 1013 e la convenzione di Basilea che regola i movimenti transfrontalieri tra un Paese Ue e un Paese extra Ue, l’Italia può esportare rifiuti di questo tipo solo se effettivamente destinati al riciclo. Spetterebbe proprio ai due rappresentanti della Convenzione di Basilea – i cosiddetti focal points italiano e tunisino, dipendenti dai rispettivi ministeri dell’Ambiente – autorizzare o rifiutare la spedizione. Invece la procedura non viene rispettata: i container lasciano il porto di Salerno con il beneplacito della Regione Campania, ma senza l’accordo delle autorità competenti, cioè i rappresentanti della Convenzione di Basilea. A consentire la spedizione è un funzionario dell’Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti (ANGED) della regione di Sousse, oggi in manette. Ad attenderli, c’è una società fantasma che dichiara di esportare plastica e che tra luglio e settembre, prima che l’affare diventi pubblico, ha già ricevuto un totale di 230 mila euro dall’azienda campana Sviluppo Risorse Ambientali.

Insieme ai colleghi tunisini di InkyfadaIrpiMedia ha indagato su chi sono i protagonisti di quella che in Tunisia è già diventata l’inchiesta giudiziaria più delicata del 2021.

A firmare il contratto con la Sviluppo Risorse Ambientali il 30 settembre 2019 è la ditta tunisina Soreplast, di proprietà di Mohamed Moncef Noureddine, da più di dieci anni nel campo dei rifiuti. Dieci giorni prima del mandato d’arresto inviato dal procuratore di Sousse, il proprietario fugge in Germania.

Il contratto con Soreplast – firmato durante la prima visita in Tunisia di Alfonso Palmieri, proprietario della Sviluppo Risorse Ambientali ai locali della ditta, come conferma ad IrpiMedia la stessa SRA durante una conferenza stampa a Polla – prevede un tetto massimo di 120 mila tonnellate di rifiuti da esportare a sud del Mediterraneo, divisi in tranches minori. Le tonnellate autorizzate dalla Regione Campania con due decreti dirigenziali – uno del 14 aprile, l’altro dell’8 luglio – sono 12 mila in totale, di cui 7.900 sono arrivate in Tunisia prima che le spedizioni venissero bloccate. Le balle di rifiuti misti sono state trasportate via mare da Salerno a Sousse in 282 containers, di cui solo 70 sono stati trasportati presso i locali di Soreplast. I restanti 212 sono ancora bloccati al porto, sotto sequestro: ogni giorno di sosta dei container costa 26 mila euro alla regione Campania.

Ad attraversare il Mediterraneo con i carichi di rifiuti sono due navi della compagnia turca Arkas, prima la Martine A e poi la Mehmet Kahveci. Tra le condizioni del contratto, si legge nel documento ottenuto da IrpiMedia, i rifiuti fuoriusciti dalla Sviluppo Risorse Ambientali di Polla dovranno essere riselezionati e, per la parte non recuperabile, smaltiti a carico dell’impianto. Il prezzo è 52 euro per ciascuna tonnellata fatta arrivare al porto di destinazione, a cui vanno sommati 85 euro per il trattamento di riciclo: «Un prezzo più che conveniente», conferma un tecnico dei rifiuti incontrato da IrpiMedia in Tunisia.

Dallo statuto societario risulta che al momento della firma del contratto la Soreplast sia una società uninominale che si occupa di «riciclaggio e recupero dei rifiuti post-industriali, plastica e materiali vari». Secondo la ditta italiana, i rifiuti inviati in Tunisia, una volta recuperati, avrebbero dovuto essere trasformati in tubicini di plastica per poi essere riesportati, non è specificato verso dove. Soreplast, infatti, risulta essere una società «totalmente esportatrice»: almeno il 50% di quello che produce deve essere inviato all’estero e non può entrare sul mercato locale.Leggi anche

Il proprietario di Soreplast, in un documento inviato alla ditta italiana e ottenuto tramite accesso agli atti alla Regione Campania, dichiara di aver già valorizzato le prime 1.900 tonnellate di rifiuti esportate con la prima spedizione del 26 maggio 2020. Di queste, 1840 tonnellate sarebbero state recuperate, ma dei tubicini di plastica ottenuti dal “processo di valorizzazione” non c’è traccia. L’azienda tunisina, infatti, non possiede i macchinari necessari per trattare migliaia di tonnellate di rifiuti misti, come invece dichiara. A confermarlo è il rappresentante della Convenzione di Basilea in Tunisia, Abderrazak Marzouki, in una mail confidenziale inviata al Ministero dell’Ambiente italiano il 23 novembre 2020: «La società non dispone dei mezzi materiali e umani né della tecnologia necessaria per riselezionare i rifiuti importati da Sviluppo Risorse Ambientali», afferma Marzouki. Lo sostiene anche il rapporto della commissione d’inchiesta del parlamento tunisino istituita ad hoc per il caso dei rifiuti italiani: «Soreplast non è in grado di procedere al riciclo dei rifiuti arrivati in Tunisia, il che fa sorgere dubbi rispetto alla veridicità delle operazioni di recupero che l’azienda intende realizzare».

Redazione