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MADDALONI- (di Antonio Del Monaco*)Nelle ultime settimane si è fatto un gran vociare in merito alle scarcerazioni di centinaia di detenuti, tra cui quattro nomi noti della criminalità organizzata; per ragioni di salute e rischio contagio da Covid-19 sono stati concessi loro gli arresti domiciliari.

Domenica 10 maggio, Giletti, a tale proposito, ha ripreso l’ormai noto discorso del magistrato Nino Di Matteo che ha dichiarato, in una puntata precedente e quindi pubblicamente, di aver avuto dubbi sull’operato del ministro della Giustizia; dubbi che ha palesato dopo due anni e fanno riferimento ad un presunto compromesso del ministro Bonafede con la criminalità organizzata. L’accusa, seppur velata e nascosta dietro a termini quali “sentore”, “sensazione”, “dubbio”, è gravissima. Come si può sostenere che un ministro della Repubblica, da sempre deciso a lottare contro corruzione e illegalità, prodigo di decreti trasformati in legge per tutelare lo Stato e sostenere la trasparenza, possa essere stato forzato a scendere a patti con la criminalità organizzata? È un’affermazione di notevole impatto mediatico, che non ha lasciato gli italiani indifferenti.

In merito alle dichiarazioni di Di Matteo è intervenuto in difesa anche il sindaco De Magistris che, con atteggiamento goliardico e indecoroso, si è preso la libertà di fare ironia sul ministro della Giustizia, giocando sulla facile e banale battuta data dal cognome Bonafede/Malafede: sono rimasto basito da tanta scorrettezza. Sulla questione scarcerazioni pare proprio che il ministro Bonafede sia l’accusato numero uno, la causa di tutto, e Giletti, forte del sostegno dei suoi ospiti, non ha fatto altro che infangare l’operato dello Stato, tralasciando la cosa più importante: l’autonomia decisionale della magistratura. Non è ammissibile l’accanimento mediatico contro un ministro e la totale assenza di responsabilità imputabili invece proprio alla magistratura, la sola che può decidere.

Si omette poi un altro dettaglio importante: Bonafede, proprio due anni fa, propose il Dap e altri poteri decisionali a Di Matteo il quale chiese 48 ore di tempo per decidere, ma poi nessun accordo fu sancito. Dunque qual è la ragione che ha spinto Di Matteo a fare determinate illazioni pubblicamente, in una sede alquanto inappropriata e, soprattutto, con due anni di ritardo? Dove sono le prove? Da un magistrato che si è sempre prodigato per combattere la criminalità organizzata tutti noi ci saremmo dovuti aspettare un atteggiamento etico ben diverso, una reazione volta alla trasparenza, un’indagine illo tempore per portare alla luce quanto affermato, o meglio, sospettato, percepito, perché senza prove restano solo parole. Eppure De Magistris, in aperta difesa dell’amico De Matteo, ha continuato a parlare di fatti e non di sensazioni o sospetti, il che rende la questione ancora più grave, perché si parlerebbe allora di omissione di reato da parte del magistrato.

E allora due sono le possibilità: se Di Matteo sapeva e non ha parlato, perché farlo adesso e dove sono le prove; oppure Di Matteo sta mentendo, probabilmente perché Bonafede non gli affidò la carica di Capo del Dap, e infanga volutamente l’operato di un ministro del Governo.

In entrambi i casi, la gravità di quanto asserito è senza ombra di dubbio incontestabile.

  • Parlamentare del gruppo Cinque Stelle alla camera dei Deputati
Redazione